Un interessante sentenza del Tribunale di Bologna n. 2215/2022, riguarda il caso di una donna che tra il 1998 ed il 1999 si sottopose ad un duplice intervento chirurgico di rimozione di ernia del disco. Alcuni anni dopo, tuttavia, a causa della persistenza della sintomatologia dolorosa, a livello lombare, si sottopose ad un nuovo intervento di stabilizzazione della colonna vertebrale, a seguito del quale lamentava l’aggravarsi delle proprie condizioni di salute, nonché l’insorgenza di una sindrome depressiva. La paziente, quindi, convenne in giudizio sia la Struttura sanitaria che il chirurgo ivi operante per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patiti a seguito dell’intervento.
Il Tribunale felsineo preliminarmente esclude l’applicabilità ratione temporis al caso di specie sia della legge 189/2012 (c.d. Legge Balduzzi) che della legge 24/2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco), in quanto non applicabili retroattivamente a fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore. Ne deriva che la responsabilità del medico convenuto va qualificata come responsabilità contrattuale da contatto sociale, come previsto dal diritto vivente ante novella (del 2012 e del 2017), mentre resta fermo l’inquadramento della responsabilità del nosocomio quale responsabilità contrattuale da inadempimento ex artt. 1218 e 1228 c.c.
Nel merito della vicenda in questione, il Tribunale, aderendo alle valutazioni dei consulenti tecnici, accoglie solo parzialmente le domande di parte attrice. La consulenza, invero, rileva la non utilità dell’intervento chirurgico al fine di risolvere la degenerazione del rachide della paziente, patologia particolarmente complessa che avrebbe dovuto portare ad una differente pianificazione chirurgica. Ciononostante i consulenti sottolineano come la vicenda clinica successiva all’intervento sia dipesa unicamente dalla naturale evoluzione della patologia dell’attrice e non dall’infruttuoso intervento, le cui conseguenze debbono limitarsi al danno anatomico consistente negli esiti cicatriziali lombari e nella manipolazione chirurgica dei tessuti, valutabile nella misura del 4-5% di menomazione all’integrità psicofisica.
Il Tribunale, dunque, accertata la sussistenza di un danno biologico permanente a carico dell’attrice e della conseguente inabilità temporanea assoluta e parziale per il periodo di convalescenza post-operatoria, condanna il nosocomio, in solido con il sanitario, al risarcimento del danno per euro 9.209,45. Esclusa, invece, la personalizzazione del danno non patrimoniale non ravvisandosi né una rilevante incidenza dell’intervento su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, né la causazione di una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, tenuto conto della carenza di nesso causale tra la sindrome depressiva lamentata dalla paziente e l’operazione. Nulla viene riconosciuto a titolo di danno patrimoniale in difetto di prova che la capacità lavorativa dell’attrice, qualificatasi come casalinga, sia stata intaccata dall’intervento.